Il titolo – Madri, mostri e miti – raccoglie due elementi cardine della mia biografia e del mio pensiero. In queste pagine cercherò di spiegare come questi tre mondi – il materno, il mostruoso e il mitico – si siano intrecciati nella mia vita, fino a diventare la chiave del mio racconto, e in parte anche della mia identità.
Scorro col dito la fila di libri sullo scaffale sopra la mia scrivania. Negli ultimi tempi mi piace leggere le storie di altre madri, calarmi nelle loro vite, accogliere i loro pensieri. Capire loro è capire me stessa. Mi accorgo però che sono tutti acquisti recenti.
Cinque anni fa, quando ero incinta di mia figlia Margherita, la mia libreria era ben diversa. Leggevo guide alla gravidanza – quelle di Emily Oster, per esempio, o i manuali di Uppa su sonno, cibo e organizzazione degli spazi in casa. La maternità, allora, mi appariva come un fatto pratico, un compito che richiedeva competenze domestiche misteriose: Come si pulisce il naso di un bambino? Che lenzuola devo mettere nella culla? Fino a che mese si allatta? Sì, domande banali, ma avevo visto pochi bambini nella mia vita e di conseguenza anche poche madri in azione.
Nella mia immaginazione di neo-madre, essere madre significava proprio agire. Era un insieme di gesti e accorgimenti, un terreno domestico e fisiologico, non un orizzonte intellettuale.
Se in quel periodo qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei scritto una newsletter sull’esperienza materna, avrei riso. Mi sarebbe sembrata un’idea improbabile, perfino buffa. Perché, in fondo, il materno è stato a lungo un non-tema: invisibile nella letteratura, nella filosofia, nell’arte.
Nella mia formazione classica e universitaria, la madre era sempre vista attraverso lo sguardo del figlio e alcune volte, ma raramente, della figlia. Anche l’ultimo Premio Strega, L’anniversario di Andrea Bajani, racconta la madre da quella stessa prospettiva: quella dell’osservatore, non della protagonista. Così anche un libro ottimo che mi è stato consigliato di recente, Il fuoco che ti porti dentro, di Antonio Franchini. Ma la lista potrebbe continuare.
Nelle arti visive la situazione non è diversa. Come ha raccontato Hettie Judah nel suo libro sul materno nell’arte, On Art and Motherhood, per secoli le madri sono state dipinte quasi esclusivamente da uomini. La Madonna col Bambino ha colonizzato l’immaginario collettivo, imponendo un modello idealizzato e statico, lontano dall’esperienza reale.
Negli ultimi decenni, qualcosa si è mosso. Sempre più madri hanno cominciato a raccontarsi da sé, a dare voce al proprio sguardo, a riempire il vuoto culturale lasciato da secoli di silenzio.